Ricordare il passato, comprendere il presente, plasmare il futuro. Per far sì che si possa apprezzare ciò che ci circonda è necessario sapere quello che è stato; perché il futuro nostro, di tutti, può avere un profilo positivo se, e solo se il presente ha basi solide, e le basi solide altro non sono che la conoscenza delle proprie origini. Per capire chi siamo, da dove veniamo, ma soprattutto cosa possiamo diventare.
«Eravamo bambini che vivevano intorno alle mura, giocavamo tra le macerie dei bombardamenti
mentre le mamme lavavano panni e rammendavano calze; con le carriole raccoglievamo i calcinacci
per liberare le strade impolverate. La Quintana fu l’occasione per vestirci e tornare a fare festa”
- Angelo Mazzichi
Ci siamo resi conto di quanto fosse importante per i nostri predecessori avere una sede stabile, un punto di incontro unito alla taverna e vivibile in ogni periodo dell’anno. Oggi, salendo le scale che dalla Sala Cacace portano su in sede, capiamo la forza di quel sogno e apprezziamo ancora di più tutti gli sforzi fatti per tramutarlo in realtà. Ogni gradino, ogni mattone, ogni centimetro quadrato di questa casa sono l’eredità lasciataci dai nostri grandi predecessori, sono la tappa cruciale del loro e del nostro lungo percorso; possiamo quasi sentirli ancora chiacchierare per le stanze, discutere, lavorare, ora che sta a noi portare avanti la staffetta con tutto il fiato in corpo per poter passare il testimone nel migliore dei modi a chi vorrà seguirci.
Lavorare oggi dietro le quinte di questo grande e complesso teatro è diventato un impegno decisamente serio che richiede sempre più tempo e necessaria divisione dei compiti, ma il Pugilli ha radici profonde, spirito battagliero e lo sguardo rivolto in avanti. Siamo come i nani saliti sulle spalle dei giganti: facciamo tesoro delle esperienze passate per guardare sempre più lontano.
La forza vitale, l’unicità delle genti dei rioni sta proprio in questo incontro continuo di generazioni che, all’interno dello stesso ambiente, si incrociano, si confrontano, si raccontano, in momenti di crescita reciproca. Non esiste un altro ambito sociale in cui si possa vedere un tale scambio di esperienze, di energia e di entusiasmo. Torna alla mente il detto popolare: bisognerebbe avere a vent’anni la testa di un cinquantenne e a cinquanta il corpo di un ventenne per vivere a pieno la vita. Il Pugilli è la personificazione di questo interessante miscuglio: adulti e ragazzi animano i momenti più belli di aggregazione rionale, gli uni consapevoli del valore degli altri.
La vita di un membro del Rione è piena di tante “prime volte”, che vengono vissute soprattutto da bambino: la prima volta che si indossa il vestito da Popolano per poter dare una mano nelle serate di taverna; ancora più desiderata la prima volta che si entra in campo nella cosiddetta “gradinata”, cuore pulsante ed infuocato del Rione, per assistere alla Giostra; la prima partecipazione al corteo in costume seicentesco dove si rappresenta fieri la propria rappresentanza rionale. Sicuramente la più attesa “prima volta” è quella del primo palio vinto, quella che non verrà mai dimenticata. Tra tutti questi momenti ce n’è uno che ha un valore profondo, ha il sapore di una promessa a vita, simile ad un matrimonio con la persona che ami, un giuramento cui ogni Popolano orgogliosamente aspira: il battesimo rionale.
La tavola è un vero e proprio palcoscenico, dove esibire la ricchezza ed il prestigio di un’Istituzione, o di un casato. Nelle nostre rievocazioni, le taverne rionali sostituiscono i nobili palazzi ma l’obiettivo rimane lo stesso: fare sfoggio di lusso e buon gusto, curare ogni dettaglio per meravigliare i commensali
Si assume il tema scelto dall’Ente Giostra ed intorno si crea una vera e propria sceneggiatura. Protagonisti sono i piatti selezionati con attento studio delle tradizioni culinarie di Età barocca, dei libri di cucina tramandati nelle famiglie della nobiltà e della ricca borghesia cittadina o dei documenti appartenuti a conventi e monasteri. Fanno da cornice il talento e la fantasia dei Rionali, per una sera veri e propri attori teatrali. Mesi di preparazione, studio di testi antichi, ricerca di materiali spesso recuperati nelle case private, assegnazione delle parti attesa con entusiasmo da tutti e poi, finalmente, le prove, momenti sempre e comunque indimenticabili.
Pensiamo che nella prima metà del Seicento il Rione fosse pieno di vita e di lavoro: le vie brulicati di commercianti mercanti, artigiani, religiosi di ogni specie; figure che animavano anche altre arti della città con ladri, prostitute, saltimbanchi, mendicanti, popolani e nobili Il primo Mercato Barocco nella storia della Quintana moderna vede la luce nel 1990 alla Torre dei Cinque Cantoni: all’interno degli Orti Jacobilli si ricostruisce uno squarcio della vita cittadina di epoca seicentesca, arricchito anche dalla presenza di numerose bancarelle dove si possono acquistare cibo ed oggetti di artigianato.
Accompagnati alla scoperta dei luoghi che abbracciano il Rione, stimolati a creare lavori con le proprie mani, i bambini assaporano la libertà di poter giocare dentro la taverna e viverne ogni angolo, conoscono le prime piccole responsabilità, stringono amicizie che si porteranno dietro per sempre.
Il corteggio delle rappresentanze rionali in costume, detto tradizionalmente Corteo Storico, configura un momento unico nel suo genere, pieno di emozioni, divertimento e allegria, nel quale ci si mostra con fierezza dinanzi a tutta la città. Bellezza, eleganza, energia saltano agli occhi degli spettatori che osservano affascinati l’interpretazione scenica di quell’epoca ormai così lontana. Non si tratta di una semplice rievocazione, bensì di una particolare forma di spettacolo adottata nel 1946 per far conoscere e calare il pubblico folignate nell’epoca barocca, attraverso l’esibizione tra le vie principali della città, di personaggi emblematici del tempo, regalando a tutti gli spettatori una serata straordinaria.
La gemma più preziosa, custode di bellezza, amore, eleganza e portamento, il ruolo in assoluto più ambito dalle giovani fanciulle. Sono le belle ragazze delle Puelle, spesso le più abbienti, fiere d’interpretare tale ruolo; in casa tra i familiari non si parla d’altro. Sulla cronaca de “Il Messaggero” relativa alla competizione 1946, si legge: «Sembrava che avessero dimenticato del tutto la loro vita in pieno Novecento. Coi busti eretti, dritte e fiere nelle acconciature sfarzose, le labbra appena socchiuse in un timido accenno al sorriso».
Mento alto, sguardo altero, sorriso accennato: quando si sfila non si presenta un abito, si entra in un personaggio, in un’epoca fatta di nobiltà ed eleganza. Procedere a passi lenti e sicuri sotto le pesanti gonne che ondeggiano, dentro a rigidi busti ti fa riflettere sulla condizione delle donne a quel tempo, sui tanti lacci stretti dalla società che le lascia a malapena respirare. Le donne di oggi sono molto più libere, nel modo di vestire e nello stile di vita, ma sono comunque “figlie” di quelle dame ed amano lasciare per alcune ore spazio ad un pizzico di vanità: il tempo sembra fermarsi, la frenetica routine quotidiana resta fuori dalle stanze della sede rionale, le persone intorno si muovono tra spazzole, cosmetici, diademi, gorgiere ed è impossibile non emozionarsi nel vedere i loro sguardi che cercano la perfezione in ogni dettaglio. Parola d’ordine: uscire in scena e dimostrarsi all’altezza del proprio ruolo, vivere a pieno un momento così unico e meraviglioso.
È il suono che rappresenta la volontà di appartenenza, il senso più profondo di rievocare attraverso uno strumento simbolo di socialità, di goliardia, di festa comune. Grande è lo stupore da parte della gente e soprattutto degli altri rioni che increduli ammirano questo corteo composto da otto tamburini, con melodie di suono completamente nuove, coordinazione da far invidia, stravolgimento nel portamento. Insomma una vera e propria goduria ammirare con fierezza gli occhi increduli degli altri. sono tantissimi i ragazzi che vogliono imparare e suonare “come quelli del Pugilli”. Il suono si trasforma in una melodia in cui tecnica e sound si fondono e la gente che ascolta non può smettere di ballare, di battere le mani, di sorridere.
Un’immagine, l’essenziale che è visibile a tutti, ciò che ci contraddistingue, che ci unisce. Quell’Aquila che ondeggia su un campo bianco, la si vede e sembra quasi che stia volando. Tenerla sulla spalla, sventolarla al cielo, innalzarla di fronte ai nemici, questo il compito più prestigioso di chi ha scelto la bandiera come sua compagna, come fine espressione di appartenenza, come tangibile visione di rappresentanza. Come chi si innamora a prima vista e lo fa per tutta la vita.
Agli inizi degli anni Ottanta, si decide di dar vita alla scuderia di proprietà rionale. Si sceglie in questo modo di divenire autori e costruttori materiali dei propri successi e perché no anche delle proprie sconfitte. Coltivare sogni e ambizioni, rimettendo tutto nelle mani e nello sforzo dei propri rionali, diventa il principio fondamentale che ancora oggi anima lo spirito competitivo dell’Aquila Nera. È così che un gruppo di giovani armati di speranze e passione inizia un lungo viaggio che dura ancora oggi. Alla stalla vai a sporcarti le mani e ti diverti nel farlo. È una vita di sacrifici: sveglie all’alba quando fa troppo caldo nelle giornate estive e corpi gelati nelle giornate invernali. Calli alle mani, sudore, impegno e dedizione e rinunce. Un duro lavoro di trecentosessantacinque giorni per tre minuti scarsi di gara due volte l’anno, minuti che a volte danno gioie indescrivibili, altre volte amarezze e delusioni.
Paolo e Ca’ Granda partono, sembrano volare, Iceman infila tutti e tre gli anelli e la Regina corre veloce verso la fotocellula. È il momento di ascoltare il tempo, lo speaker alza il tono della voce, tutti capiscono che qualcosa sta succedendo. È un boato: il pubblico si alza in piedi e applaude la “coppia” equestre del secolo: 55.90 è il nuovo splendido record di pista. È il momento più alto di Paolo e Ca’ Granda, il più glorioso di tutta la storia del Pugilli.
Un raggio di sole illumina il Campo nel silenzio totale, il rintocco delle campane nel Vespro Settembrino lascia il posto ad una sola voce quella del nostro cavaliere: «Andiamo a vincere!» Pierluigi parte forte come nelle due tornate precedenti, la corsa è pulita e lineare, infila senza sbavature i tre anelli e taglia il traguardo a lancia alzata. Il Moro vince il palio, il Popolo sulla gradinata sembra un mare in tempesta: è stato battuto lo storico rivale per quarantasette centesimi. I Puellari invadono il Campo e corrono verso Chicchini e Edward, dopo otto anni rialzano il palio, lo fanno orgogliosamente davanti ai loro nemici numero uno.
I primi stendardi erano mediamente più piccoli, spesso presentavano sul fondo lingue di tessuto culminanti con nappe decorative che rimandano a qualcosa che appartiene al nostro immaginario comune del passato.
Il decennio degli anni Ottanta segna la trasformazione tecnica e iconografica dei palii; per la loro realizzazione si inizia ad interpellare artisti di caratura maggiore e di più ampia fortuna critica, questa apertura implica anche una maggiore libertà concessa agli artisti per quanto riguarda i soggetti iconici. il Palio della Sfida dipinto nel 1990 dall’artista Romeo Mancini rappresenta il primo esempio di opera completamente astratta. Una tale sperimentazione artistica, impossibile nei palii degli albori, è fattore indubitabile del respiro nazionale assunto via via dall’Evento Equestre di Foligno.
In questi secondi non ti importa di nient’altro, anzi, non c’è nient’altro che quello spazio in mezzo al Campo, sotto l’Inquintana, pieno di persone come te, un Popolo intero, disordinato, esplosivo e invidiato. Vincere e alzare il palio è ciò che un quintanaro sogna ogni notte, ciò che aspetta in una preparazione intensa, poi, quando arriva il momento fatale ti guardi intorno e ti lasci trasportare, hai vinto!